Admiral’s House, Castellorizo, Grecia
Era l’inizio della primavera e assieme ad alcuni amici ero partita per un tour presso gli antichi siti archeologici greci sulle coste dell’Asia Minore. Lo spettacolo dell’Egeo ci riempiva di fascino. A volte lo ammiravamo dall’alto, a volte camminavamo sulle spiagge sabbiose dopo aver percorso strade impervie, come nella semisommersa Patara, che ci accolse con forti venti e mareggiate.
Mentre ci avvicinavamo a Kaş, potevamo ammirare il panorama di Castellorizo, estremo lembo isolano del Mediterraneo orientale. Per noi greci fu una grande emozione e così decidemmo all’unanimità di modificare il nostro itinerario per dedicare un paio d’ore alla visita di Castellorizo. Per fortuna trovammo un capitano turco che si offrì di accompagnarci, sebbene senza particolare entusiasmo a causa del vento forte. “Aspettiamo che si calmi un po’ prima di partire”, ci disse. In effetti le onde erano alte come montagne. Ma noi eravamo intrepidi viaggiatori e non ci lasciammo intimorire dal mare grosso. Senza contare la distanza: appena 2,5 chilometri, ossia una traversata di tre quarti d’ora.
Mentre prendevamo l’aperitivo in attesa accanto all’ufficio del capitano, a un tratto lo vedemmo uscire. “Andiamo!”, ci annunciò e noi scattammo subito in piedi. La barca, oltre a noi, avrebbe trasportato un carico di frutta e verdura per gli isolani, e forse anche altre merci, che non notai perché i miei occhi erano tutti per le onde.
Il capitano si dimostrò molto abile nell’orchestrare i movimenti della barca sopra il mare agitato da un vento che soffiava a 7 Beaufort. Ogni tanto, di fronte a noi, Castellorizo svaniva dalla nostra vista per un attimo ma subito dopo se ne scorgeva il fianco, a secondo dell’umore delle onde. A mano a mano che ci avvicinavamo, la silhouette dell’isola si stagliava sempre più netta mostrando la grandezza delle montagne rocciose che formavano un altopiano sulla cima. Prima di entrare nel piccolo porto protetto, notai una villa bianca arroccata sulla punta di un promontorio e, vedendola, ebbi la sensazione di conoscerla già.
Era “The Admiral’s House” (la Casa dell’Ammiraglio), descrittami da una vecchia amica. A progettarla è stato proprio il padre della mia amica, un ammiraglio della marina greca originario dall’isola. È circondata da una grande terrazza sospesa sopra il mare azzurro, e mentre la guardavo, immaginavo come sarebbe stato bello godere da lì la splendida vista della costa turca e della Licia, da cui stavo arrivando.
Come la mia amica mi aveva raccontato, l’amore e il rispetto dell’ammiraglio per l’isola e la sua storia turbolenta si sono manifestati negli autentici dettagli tradizionali dell’architettura della villa, decorata con cimeli appartenenti alla famiglia e ricordi di viaggio. Inoltre l’interesse dell’ammiraglio per l’antiquariato creava un atmosfera ottocentesca in un ambiente del 21° secolo. L’amore dell’ammiraglio si è trasmesso alla figlia, che ha meravigliosamente ristrutturato la villa ricorrendo a idee sorprendenti, come i tavoli in marmo scolpito sotto gli archi per pranzi ricchi di atmosfera o ambientazioni per la colazione all'aperto accanto a palme e buganvillee Schiaparelli di un intenso color rosa.
Notevole, come è sempre stata lei a descrivermi con entusiasmo, anche la ristrutturazione di una scala ornata con intarsi di marmo antico che conduce al “Kioski”, una veranda aperta di fronte al castello medievale, il posto preferito della mia amica dopo la nuotata mattutina o per leggere nel pomeriggio.
Oh! Che splendore questa villa, abbracciata da uno scenario incantevole, al tempo stesso sognante e piacevole, l’ultima villa del suo genere nella punta più estrema d’Europa. Forse esageravo ma mi pareva un pensiero molto romantico.
La villa si poteva raggiungere facilmente a piedi dal porto. Infatti, mentre la barca virava per entrare nelle sue acque tranquille, uno degli scorci più belli del Mediterraneo si manifestò davanti a me. Era qualcosa di inatteso date le dimensioni ridotte dell’isola. Ogni casa era una palazzina piccolissima dipinta in modo diverso. Era una tavolozza di colori vivaci, che non avevano paura di esprimersi in un tripudio di giallo, rosso, azzurro, granata, verde e rosa pastello. Queste belle case, disposte ad anfiteatro e con le imposte chiuse, sono la prova che un tempo Castellorizo era un’isola economicamente prospera, le cui navi trasportavano merci in tutto il Mediterraneo.
Dopo aver ormeggiato e averci fatto scendere sulla terraferma, il capitano ci disse che sarebbe tornato in Turchia e che sarebbe tornato di lì a qualche ora a riprenderci. Siccome il vento mi portò via il cappello, mi preoccupai pensando a che cosa sarebbe accaduto se in quel lasso di tempo i 7 Beaufort fossero aumentati. I nostri bagagli erano in Turchia, e se il capitano non fosse tornato a prenderci, come avremmo potuto passare la notte in quest’isola che era un gioiello ma aveva le imposte chiuse? Naturalmente, mi trovavo nel mio Paese, e ancor più naturalmente avrei potuto prendere un aereo per Atene e da qui volare poi a Roma, ma ad essere sincera non mi sentivo affatto a mio agio. Oltre all’indispensabile per la notte, nella mia borsa da viaggio lasciata nell’hotel in Turchia c’erano libri e mappe, e soprattutto il mio diario di viaggio. Senza tutto questo mi sentivo spaesata!
Rapidamente però mi adattai alla nuova situazione lasciando tutto al caso. Così i miei amici e io ci godemmo uno squisito pasto greco nella prima taverna che trovammo aperta e scambiammo quattro chiacchiere con gli isolani, felici della nostra presenza dal momento che durante l’inverno nessun viaggiatore straniero aveva frequentato l’isola. Parvero piuttosto sorpresi quando dicemmo loro da dove eravamo venuti, e dopo pranzo ci invitarono a ballare, ma siccome la musica greca risuonava a volume troppo alto fin fuori della taverna, andai a passeggiare nella piccola città per rendermi meglio conto delle descrizioni che mi aveva fatto la mia amica.
Lungo le strade mi colpì la pulizia incredibile. Non una foglia, non il minimo rifiuto mentre le piazzette erano deliziosamente pavimentate con ciottoli. Due isolani mi seguivano e quando abbiamo raggiunto la cattedrale con il suo imponente campanile, rimasi colpita dalla ricchezza dell’interno e dalle imponenti colonne di granito trasferite via mare nel 1835 dal tempio di Apollo Pizio presso Patara, in Licia. Il sole stava per tramontare e una luce dolce, che il vento non turbava, conferiva una tonalità dorata all’atmosfera serena.
È un dato di fatto che Castellorizo esercita la sua magia su ogni visitatore, in modo sempre inaspettato. Il film Mediterraneo è stato girato per intero sull’isola, con il pieno sostegno dei pochi abitanti, e ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero nel 1993. I miei amici italiani restano incantati quando arrivano in barca a vela su quest’isola che è considerata uno degli ultimi paradisi incontaminati del Mediterraneo. Il suo porto scenografico e le acque cristalline attraggono intenditori cosmopoliti per tutta la stagione estiva.
Gli isolani che mi accompagnavano mi hanno lasciato quando sono salita al castello medievale, restaurato dai Crociati nel 14° secolo, con una vista mozzafiato sulla costa turca e sulle piccole isolette che compongono il piccolo arcipelago di Castellorizo. Penso che ogni autentico viaggiatore sia sempre alla ricerca di momenti solitari come questo per rendersi conto che sulla Terra ci sono angoli nascosti in cui riempirsi il cuore di bellezza. Rimasi sorpresa nel vedere ancora una volta la Casa dell’Ammiraglio, che dominava il promontorio dalla sua splendida posizione. Oh! Vedevo anche il cancello privato che portava direttamente all’acqua.
Mentre mi trovavo in una nicchia mezzo diroccata per proteggermi dal vento, un amico che viaggiava con me e che a quanto pare si era a sua volta concesso una passeggiata solitaria, mi vide e si fermò per raccontarmi le novità. Alcuni isolani si erano offerti di ospitarci per la notte nelle loro case, se il capitano non fosse venuto a prenderci. La loro gentilezza era davvero commovente.
“Sei preoccupato che non verrà?”, gli domandai.
“Perché, tu no?”, ribatté.
Sicuramente mi sarei preoccupata se nel frattempo avessi pensato al ritorno. Ma, siccome la vista spettacolare mi aveva rapita, le parole del mio compagno di viaggio ebbero l’effetto di risvegliarmi come da un sogno. Mi voltai e scorsi all’orizzonte le montagne dell’Asia Minore, cui il sole al tramonto aveva conferito un bel colore rosa. Sembravano vicinissime, come se per raggiungerle bastasse essere uccelli marini, liberi dalla schiavitù di passaporti e frontiere, tutt’uno con i ritmi della natura, proprio come dovremmo esserlo anche noi, se solo ci prendessimo un po’ di tempo per capirlo. Certo, era un pensiero irrilevante rispetto alla domanda del mio amico, ma intanto... vidi un punto bianco uscire dal porticciolo di Kaş e dirigersi verso il mare aperto.
“Sta venendo a prenderci”, dissi dolcemente.
Era il capitano turco, che, avendo mantenuto la sua parola, stava attraversando il mare per raggiungere l’isola. Il mio amico corse ad annunciare la bella notizia. Io rimasi sola ad ammirare il ritmico ondeggiare della barca che si spostava sulla superficie liquida. Ma la vera sorpresa fu che il vento aveva cominciato a soffiare con minore intensità e le onde andavano placandosi. Quando arrivò al porto, il mare si era quasi completamente rasserenato. Siccome non sono un meteorologo né conosco la scienza dei venti, credetti semplicemente che fosse un miracolo della natura.
Si era già fatto buio quando lasciammo Castellorizo. La barca che ci riportava verso le coste dell’Asia Minore, scivolava lentamente, serenamente sull’acqua.
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